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I VVF in guerra > I pompieri di Milano tra fascismo, guerra e resistenza
LA DRAMMATICA REALTA'
di Giuseppe MASCHERPA
Con l'entrata in guerra (1) il Corpo fu mobilitato; vennero assunti vigili volontari provvisori, i vigili discontinui passarono a servizio continuativo e moltissimi furono inviati a Milano da altre città, furono requisiti automezzi privati ed edifici per adibirli a caserme.
Inizialmente parve tutto solo un grande movimento coreografico, nessuno sapeva ancora cosa fosse la pratica della guerra totale aerea estesa alle popolazioni dei grandi centri abitati, teorizzata per primo proprio da un italiano, il gem. Douhet. Alla "coventrizzazione" escogitata dalla Luftwaffe (il termine deriva dal tedesco kowentrisieren, con riferimento ai sistematici bombardamenti effettuati dai tedeschi sul centro industriale inglese di Coventry nel 1940, nel corso dei quali la città fu quasi totalmente rasa al suolo in due giorni) corrispose poi, da parte della Royal Air Force (a cui si aggiunse successivamente l'Aviazione Americana), il "bombardamento a tappeto" dagli effetti devastanti.
Con i primi bombardamenti ci si rese conto che in quelle circostanze il compito di affrontare incendi e crolli, estrarre superstiti dalle macerie, recuperare i corpi delle vittime, salvare il possibile, tranquillizzare gli animi quando ancora turbinava la polvere dei calcinacci e l'aria era impregnata dalle esalazioni delle combustioni, il più delle volte mentre i bombardamenti erano in corso, per i pompieri diventava immane e fra loro furono i primi caduti a Spinetta Marengo; un intera squadra, alla stazione di Foggia (2), a Bari, Brindisi, Napoli, Torino, Genova e in altre località; molti i vigili che perirono ancora prima di giungere a destinazione, colpiti dal cielo, oppure accecati dalle nebbie artificiali dei porti finirono in mare imprigionati nelle macchine.
Nel 1943 si intensificarono i bombardamenti sulle città, l'attività del Corpo divenne frenetica e incessante, tese al salvataggio delle persone rimaste sepolte tra le macerie, all'estrazione delle salme e all'estinzione dei violenti incendi che divampavano, provocati dalle bombe e dagli spezzoni incendiari; la statistica degli interventi effettuati dai pompieri nella città di Milano, connessi all'attività bellica e per la durata del conflitto è impressionante: spegnimento incendi n°8.899, per salvataggio persone n°244, crolli n°132, recupero salme n°558, servizi vari (speciali e autolettighe) n°2285, effettuate 3.040 demolizioni di stabili pericolanti (solo quelli che minacciavano la pubblica incolumità); va precisato che nel 1945 furono raccolti solo i dati relativi agli incendi.
A questi dati sono da aggiungere quelli relativi ai danni subiti dalla città: 14.000 case d'abitazione distrutte, 2.300 gravemente danneggiate, quelle rimaste illese 10.000 circa; i locali d'abitazione distrutti furono 160.000 circa, 50.000 gravemente danneggiati e 200.000 quelli danneggiati leggermente; gli edifici pubblici distrutti furono 60, mentre quelli gravemente danneggiati 140; 250 gli stabilimenti industriali distrutti e 450 quelli che risultarono gravemente danneggiati; tra la popolazione vi furono 2.816 morti, mentre i feriti furono 5.008 e rispetto a questi dati relativi alle persone non bisogna dimenticare che moltissimi furono gli abitanti sfollati, diminuendo così, per fortuna, il numero delle vittime.
"invano cerchi tra la polvere, povera mano, la città è morta. E' morta: s'è udito l'ultimo rombo sul cuore del
Naviglio. E l'usignolo è caduto dall'antenna, alta sul convento, dove cantava prima del tramonto. Non scavare nei pozzi dei cortili: i vivi non hanno più sete.
Non toccate i morti, son così rossi, così gonfi: lasciateli nella terra delle loro case: la città è morta, la città è morta".
Con queste parole Salvatore Quasimodo ci dà il vero senso di quegli attimi.
(1) Vigili del fuoco, anno II, luglio-agosto 1940-XVIII
(2) La gazzetta del Mezzogiorno, 15 luglio 1998